Un nuovo sistema sarà in grado di prevedere il movimento dei rifiuti, analizzandone il rischio e trasformandoli in risorse per la produzione di syngas
Ogni anno circa 229mila tonnellate di plastica – pari a 500 container – finiscono nel Mediterraneo, il 15% delle quali proviene dal nostro Paese, secondo in classifica dietro all’Egitto (32%). La concentrazione di questi rifiuti raggiunge il picco massimo proprio nel Mare Nostrum, complici la densità abitativa, la conformazione geografica e l’intensa attività economica. Nonostante abbia progressivamente catturato l’attenzione dei media, la conoscenza scientifica sull’impatto di questo fenomeno è ancora piuttosto limitata.
“Suonerà paradossale ma ci troviamo di fronte a un forte gap conoscitivo relativo alle conseguenze delle plastiche sull’ambiente marino”, spiega Francesco Regoli, direttore del dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università politecnica delle Marche. “Basti pensare che il primo progetto europeo in materia è stata finanziato appena cinque anni fa, nel 2018”. Una problematica con ancora moltissimi aspetti da chiarire e, quindi, difficile da gestire.
“La concentrazione dei rifiuti in plastica raggiunge il picco massimo nel Mar Mediterraneo, anche a causa della densità abitativa, della conformazione geografica e dell’intensa attività economica”
Per contribuire a colmare alcune di queste lacune, Fondazione Cariverona ha deciso di sostenere, attraverso il bando Habitat 2020, il progetto di ricerca Solving: l’obiettivo dell’iniziativa – coordinata dal professor Regoli, con il coinvolgimento di quattro dipartimenti dell’ateneo marchigiano e due aziende – è sviluppare un nuovo modello circolare di gestione dell’inquinamento da plastiche negli ambienti marini.
Un sistema quindi che, partendo dallo studio meticoloso del fenomeno, arrivi a generare ricadute positive sia sul piano ecologico che economico, creando nuove opportunità di sviluppo e orientando l’azione delle amministrazioni locali.
Tutelare le bellezze del Conero
La ricerca si concentra sulla riviera del Conero, in provincia di Ancona: “Si tratta di un’area con caratteristiche ambientali ed ecologiche straordinarie – sostiene Regoli – e rappresenta un capitale naturale cruciale per le attività economiche del territorio. È inoltre una zona in cui la conformazione rocciosa della costa, un’eccezione per il versante italiano dell’Adriatico, rende il recupero della plastica particolarmente difficoltoso”.
Prevedere il movimento di plastiche e microplastiche
Grazie allo studio di fattori quali correnti, interscambi aria-atmosfera, ecc., il team di ricercatori sta finendo di mettere a punto un modello oceanografico altamente sofisticato. Si tratta di un sistema in grado di prevedere quali saranno le aree più colpite dall’accumulo di plastiche e microplastiche, simulando come si potrebbero distribuire lungo le coste, anche a seguito di eventi meteorologici o piene dei fiumi.
“Per il momento – precisa Regoli – ci siamo concentrati sul bacino adriatico ma vogliamo arrivare a un livello di dettaglio ancora superiore, stringendo il campo sul Conero”.
Uno strumento utile per le amministrazioni
Questa applicazione migliorerà considerevolmente la gestione delle plastiche nelle aree marine: “In futuro il software diventerà uno strumento utile alle amministrazioni pubbliche per organizzare interventi mirati e campagne di pulizia. A oggi non esistono modelli validati su questi materiali, perché è difficile prevederne la circolazione e la dispersione lungo la colonna d’acqua, dalla superficie fino ai sedimenti, in funzione delle loro forme e dimensioni”.
A completare il sistema di monitoraggio della zona costiera è poi lo sviluppo di specifici droni, che impiegano l’intelligenza artificiale per riconoscere la presenza di rifiuti in luoghi difficilmente accessibili. Gli apparecchi facilitano inoltre il controllo: “Attraverso la generazione di ortofoto georeferenziate del territorio, è possibile analizzare e ricostruire lo stato delle aree di indagine prima, durante e dopo eventuali azioni di pulizia”.
Il modello per analizzare i rischi dell’inquinamento
Anche grazie alla campagna di raccolta di plastiche in mare coordinata dall’azienda Garbage Service, i ricercatori stanno elaborando una grande mole di informazioni per la creazione di un modello di analisi del rischio delle plastiche in ambiente marino.
“I dati che stiamo accumulando sono molto eterogenei. Abbiamo catalogato e studiato plastiche recuperate in aree diversamente esposte al moto ondoso. Attraverso strumenti sofisticati, abbiamo inoltre prelevato campioni di microplastiche lungo tutta la colonna d’acqua, non limitandoci alla superficie”.
“Lo studio di mitili, ricci di mare, anemoni e, per la prima volta, di coleotteri ci sta aiutando invece a capire come questi materiali vengono ingeriti e trasferiti lungo le reti trofiche, sia in mare che sulla terraferma. Stiamo anche analizzando come le plastiche assorbono gli inquinanti presenti in acqua e studiando il ruolo delle foreste algali come ‘trappole’ di queste particelle”.
L’elaborazione di questi risultati porterà a definire degli standard univoci di rischio. “Abbiamo già realizzato un software che, esaminando i dati raccolti, riesce a calcolare il livello di rischio per determinate aree marine in diversi periodi dell’anno, sintetizzando tutto in un indicatore unico”. La visualizzazione finale, che ricorda quella del tachimetro di un’automobile, è facilmente comprensibile e sarà fondamentale per informare e rendere più efficace l’azione dei decisori pubblici.
Dalle plastiche al syngas grazie a Green Plasma
Solving ambisce non solo a studiare l’inquinamento da plastiche ma anche a innescare processi di economia circolare che contribuiscano a valorizzare questi rifiuti, trasformandoli in risorse per la produzione di energia. A rendere possibile questa fase del progetto è Green Plasma, un’innovativa tecnologia sviluppata dall’azienda partner Iris che sfrutta il processo di pirolisi (decomposizione di un composto con mezzi termochimici).
“La combustione dei rifiuti plastici a oltre 800 gradi – spiega Regoli – è in grado di generare syngas, un gas molto ricco di idrogeno e a elevato potere calorifico, utilizzato per la produzione di energia elettrica. Si tratta di un procedimento che avviene in assenza di ossigeno e che quindi non produce CO2 o altre sostanze inquinanti. Per ora i dati sono molto promettenti e dicono che da 150 chili di plastica è possibile estrarre circa 130 chilowattora”.
L’obiettivo principale, però, non è quello di creare una nuova fonte energetica: “Non ci illudiamo, la plastica è ancora economicamente troppo vantaggiosa per il mercato. Green Plasma risolverebbe però in toto la gestione dei rifiuti plastici non riciclabili e abbatterebbe i costi di trasporto in discarica”.
Tra i vantaggi della tecnologia spicca la grande versatilità di utilizzo: il progetto Solving sta ultimando l’installazione dell’impianto per la produzione di syngas su un furgone che, a regime, potrebbe muoversi agevolmente tra i vari porti della costa, trattando le plastiche nei punti di raccolta e producendo energia elettrica da usare in loco (ad esempio per le colonnine di ricarica).
Approccio multidisciplinare per uno sviluppo sostenibile
Il modello di gestione è ora al vaglio del dipartimento di Management, che sta valutando costi e benefici in termini di sostenibilità economica, sociale e ambientale: un passaggio fondamentale per renderlo pienamente operativo. Nel frattempo, però, hanno già preso il via le attività di educazione ambientale e coinvolgimento dei cittadini per sensibilizzare e stimolare la riflessione sui temi al centro del progetto.
“La nostra iniziativa sta suscitando un grande interesse. Se i risultati dovessero essere confermati, alcune delle tecnologie potranno essere facilmente esportate non solo lungo gli 8mila chilometri di costa italiana, ma anche in altre aree del Paese, come ad esempio le zone urbane, agricole e montane”.
Ma la scalabilità non è l’unico punto di forza del progetto: “Penso che uno dei nostri tratti distintivi sia l’approccio scientifico e multidisciplinare che abbiamo adottato per affrontare la questione dell’inquinamento da plastiche, muovendoci con rigore dalla biologia al management. Se studiati in questo modo, i problemi ambientali possono creare nuove opportunità di sviluppo, con ricadute positive in termini economici e sociali per tutta la comunità”.
Per questo motivo, “è necessario uscire dallo scontro, spesso ideologico, tra difesa della natura e tutela delle attività produttive: le due cose possono, anzi devono, andare di pari passo”.
Il ruolo della scienza
In questo senso, la scienza gioca un ruolo da protagonista: “Come ricercatori siamo mossi dalla speranza di fare qualcosa di utile per migliorare la vita sul Pianeta. Siamo a servizio della comunità. Con il nostro lavoro vogliamo fornire un contributo di conoscenza per mettere a punto modelli alternativi e aiutare a risolvere i grandi problemi del nostro tempo”.
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