L’iniziativa mira a sviluppare un modello di business circolare per le imprese, trasformando gli scarti degli impianti a biogas in preziose risorse per le colture
Per fermare il cambiamento climatico anche l’agricoltura deve fare la propria parte, ripensando i propri modelli di sviluppo e imboccando la strada della transizione ecologia. Dalla sostenibilità di questo sistema dipende in parte il futuro della vita sul nostro Pianeta.
La conferma arriva dai dati: secondo le stime, il settore è oggi responsabile dell’8,5% delle emissioni globali di gas serra, quota che sfiora il 25% se si considera la diversa destinazione d’uso del suolo causata da fenomeni come la deforestazione.
“Secondo le stime, oggi il settore agricolo è responsabile dell’8,5% delle emissioni globali di gas serra, quota che sfiora il 25% se si considerano fenomeni quali la deforestazione”
La spirale nociva dei fertilizzanti
A pesare sulla situazione attuale è anche l’impiego massiccio di fertilizzanti: “È sicuramente una delle principali cause di inquinamento di aria, suolo e acqua, oltre ad avere un impatto negativo sulla biodiversità degli habitat”, conferma Anita Zamboni, professoressa di Chimica agraria presso l’Università di Verona.
La produzione di queste sostanze a base di azoto e fosforo non grava solo dal punto di vista ambientale, ma anche energetico: si calcola infatti che il processo consumi circa il 50% dell’energia usata in agricoltura, oltre ad emettere gas clima-alteranti che contribuiscono al surriscaldamento globale.
“È un problema ancor più serio se si considera la crescita globale della popolazione, che sta mettendo sotto pressione i nostri sistemi agroalimentari”.
“Per rendere le colture sempre più efficienti e produttive, gli imprenditori ricorrono con maggior frequenza ai fertilizzanti, innescando una spirale nociva innanzitutto per l’ambiente oltre che per le loro tasche”.
“L’impiego massiccio di fertilizzanti è una delle principali cause di inquinamento di aria, suolo e acqua e ha un impatto negativo sulla biodiversità degli habitat”
La Commissione europea, consapevole della gravità del fenomeno, ha deciso di prendere in mano la situazione. Oggi le direttive di Bruxelles parlano chiaro: si punta a ridurre le perdite di azoto e fosforo del 50% rispetto agli standard attuali, con un calo del 20% nell’uso di questi prodotti già entro il 2030.
Dal biogas ai fertilizzanti rinnovabili
“La transizione ecologica è necessaria e va sicuramente accelerata. Per questo motivo abbiamo deciso di sviluppare un progetto di ricerca innovativo che contribuisca a facilitare il processo”, commenta Zamboni, principale referente dell’iniziativa nata nell’ateneo veronese e sostenuta da Fondazione Cariverona attraverso il bando Habitat 2022.
“Il nostro obiettivo è produrre fertilizzanti rinnovabili a partire dai prodotti di scarto degli impianti di biogas. Attraverso l’uso di una serie di tecnologie saremo in grado di recuperare l’azoto e il fosforo direttamente dalla frazione liquida di digestati agricoli e zootecnici”.
Fondamentale, in questa prima fase dell’iniziativa, sarà la collaborazione con la società agricola La Torre di Isola della Scala (Verona), che metterà a disposizione i propri digestori anaerobici.
Il ruolo delle microalghe
Una volta prodotti, i fertilizzanti verranno testati in laboratorio non solo su colture tipiche del territorio come il mais o il pomodoro, ma anche per sostenere la crescita di microalghe.
“Sono organismi preziosissimi, ma ancora relativamente poco studiati, perché permettono sia di assimilare anidride carbonica che di produrre biomassa utile per lo sviluppo di altre colture”.
“Anche se relativamente poco studiate, le microalghe svolgono un ruolo prezioso nell’assimilazione di CO2 e nella produzione di biomassa per altre colture”
“L’elemento più innovativo del progetto consiste proprio nell’usare i nutrienti recuperati dai reflui zootecnici degli impianti a biogas per coltivare microalghe, che vorremmo poi impiegare come biostimolanti nei campi”.
Se l’iniziativa ottenesse i risultati sperati (prima nei laboratori e poi, in una seconda fase, in serra e sul terreno), i prodotti derivati da microalghe potrebbero quindi aumentare l’efficienza d’uso dei nutrienti delle piante e ridurre l’impiego di nuovi fertilizzanti, abbattendo le emissioni di anidride carbonica e limitando la dispersione di azoto e fosforo.
“Stiamo lavorando su un sistema di monitoraggio che ci permetta di valutare nel dettaglio l’impatto ambientale del progetto. Se tutto andasse per il verso giusto, potrebbe nascere un nuovo modello di impresa circolare in grado di chiudere il percorso che va dalla coltivazione alla produzione di biogas, trasformando gli scarti degli impianti in preziose risorse”.
Non solo ambiente: la sostenibilità economica e sociale
Ma affinché l’iniziativa possa diffondersi, è fondamentale valutarne anche la sostenibilità economica e sociale.
“Sappiamo che dobbiamo testare il progetto da tutti i punti di vista. Per questo motivo sono coinvolti ben tre dipartimenti della nostra università: Biotecnologie, Management e Neuroscienze”.
“Il nostro obiettivo è creare bioplastiche a partire dai poliidrossialcanoati sintetizzati dal nostro microrganismo che trovino un’applicazione pratica”
“Vogliamo creare un modello di business per le aziende agricole valutandone la fattibilità economico-finanziaria e, nello stesso tempo, studiare attentamente opinioni e aspettative di tutti gli stakeholders coinvolti. In questo senso, la partnership con Confagricoltura Verona sarà cruciale”.
Il progetto propone quindi una transizione ecologica realistica e inclusiva, in grado di tenere insieme la lotta al cambiamento climatico allo sviluppo delle imprese, l’innovazione tecnologica all’impatto sugli attori del sistema agricolo.
“Siamo convinti che la sostenibilità sia efficace se è a 360 gradi e tiene insieme ambiente, economia e società: è la strada più sicura per affrontare le sfide del futuro che ci attende”, conclude Zamboni.
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