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CAPITALE UMANO  |  STORIE DI RICERCA

Un microrganismo alleato dell’ambiente per stoccare la CO2 e combattere l’inquinamento da plastica

1 settembre 2023  |  Tempo di lettura: 5 minuti

L’obiettivo del progetto BioCO2-Trapping è sviluppare una filiera circolare per trasformare l’anidride carbonica in polimeri utili per la produzione di bioplastiche

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Trasformare l’anidride carbonica in polimeri utili per la produzione di bioplastiche, combattendo – in un colpo solo – il riscaldamento globale e l’inquinamento da plastiche di origine fossile. È questo l’ambizioso obiettivo del progetto BioCO2-Trapping, sostenuto da Fondazione Cariverona attraverso il bando Ricerca e Sviluppo 2022.

“Attraverso questa iniziativa – racconta Stefano Campanaro, professore del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e coordinatore della ricerca – vogliamo sviluppare progressivamente una filiera circolare, che aiuti a rispondere a due delle sfide più urgenti per la vita sul nostro Pianeta”.

“Vogliamo sviluppare una filiera circolare, che aiuti a rispondere a due delle sfide più urgenti per il nostro Pianeta: riscaldamento globale e inquinamento da plastiche”

“Dal 1950 a oggi le emissioni di CO2 sono passate da 6 a quasi 40 miliardi di tonnellate, mentre la produzione di plastica di origine fossile è cresciuta da 1,5 a 390 milioni di tonnellate, con le conseguenze che tutti conosciamo. Siamo partiti da qui, e abbiamo provato a sviluppare una strategia che affrontasse in modo congiunto questi problemi”.

Cupriavidus necator: il batterio protagonista

Il protagonista del progetto è un batterio, il Cupriavidus necator: “Si tratta di un microrganismo estremamente interessante per il nostro studio. È noto infatti che, quando si trova in situazioni di stress, magari in carenza di nutrienti, i suoi enzimi iniziano a trasformare la CO2 in poliidrossialcanoati (PHA), polimeri di base fondamentali per la produzione di bioplastiche”.

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“Il batterio arriva ad accumulare PHA fino al 90% del suo peso. Questi composti possono essere liberati estraendoli dalla cellula e utilizzati dall’uomo come materiali biologici con caratteristiche termoplastiche di notevole interesse industriale”.

L’elemento innovativo è quindi rappresentato dal riutilizzo dell’anidride carbonica, che può essere stoccata a medio-lungo termine, con un vantaggio anche sul piano economico.

“Gli enzimi del batterio sono in grado di trasformare la CO2 in poliidrossialcanoati (PHA), fondamentali per la produzione di bioplastiche”

“L’attuale produzione di bioplastiche viene considerata piuttosto costosa, soprattutto perché parte da zuccheri nobili, come il glucosio, che potrebbero essere destinati ad altri usi. La CO2 invece è disponibile in grandi quantità e praticamente gratuita”.

Il recupero di CO2 da vinificazione e biogas

La miscela di gas utilizzati nel progetto proviene da processi di vinificazione e dalla produzione di biogas.

“Assieme all’azienda agricola La Pesenata, abbiamo deciso di concentrarci su due settori chiave per l’economia della regione Veneto, come quello vitivinicolo e quello del biogas, andando a recuperare da lì l’anidride carbonica di cui abbiamo bisogno”.

L'azienda agricola La Pesenata
L'azienda agricola La Pesenata

Il team sta ora studiando le strategie necessarie per ottimizzare la crescita del batterio e massimizzare l’accumulo di PHA, soprattutto a partire da CO2.

Intanto, nel dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’ateneo padovano, il Waste to Bioproducts-Lab – coordinato dal professor Lorenzo Favaro – sta sviluppando tecnologie a basso impatto ambientale per estrarre i PHA dal microrganismo.

La produzione di bioplastiche

L’ultimo step del progetto prevede il coinvolgimento di un’altra azienda partner, la EURONEWPACK, specializzata nel settore del packaging. “Il nostro obiettivo è creare bioplastiche a partire dai poliidrossialcanoati sintetizzati dal nostro microrganismo che trovino un’applicazione pratica”.

“Stiamo ideando infatti alcuni test per valutare la potenzialità di utilizzo di questi nuovi imballaggi biodegradabili, identificando le caratteristiche e le qualità necessarie per la produzione. In questo modo, riusciremo a sviluppare una filiera realmente circolare con gli imballaggi che, a fine vita, potrebbero essere gestiti tramite compostaggio o digestione anaerobica”.

Inquinamento da plastica di origine fossile
Inquinamento da plastica di origine fossile

Se i risultati fossero confermati, in futuro si potrebbe tentare uno scale up industriale. “Attualmente ci stiamo concentrando su quantità ancora piuttosto limitate. Ma se tutti gli esperimenti dovessero andare come previsto, potremmo pensare di costruire un primo impianto pilota“.

L’obiettivo del progetto sarebbe portare la produzione nell’ordine dei chilogrammi e poi poterla eventualmente diffondere su più ampia scala.

“Il nostro obiettivo è creare bioplastiche a partire dai poliidrossialcanoati sintetizzati dal nostro microrganismo che trovino un’applicazione pratica”

“L’interesse delle aziende per innovazioni di questo tipo è molto alto, perché permetterebbero non solo di ottimizzare i processi ma anche di rendere la produzione più sostenibile, andando incontro alle richieste di istituzioni e consumatori”.

Il dialogo necessario tra università e imprese

Tra i fattori di successo del progetto – che coinvolge anche giovani ricercatori di talento come Tatiana Rossi, Ameya Gupte e Laura Treu – c’è una stretta collaborazione tra università e imprese.

“Il rapporto con La Pesenata ed EURONEWPACK per noi è fondamentale. In ambito scientifico, penso sia necessario proseguire con convinzione in questa direzione, come sta facendo Fondazione Cariverona attraverso bandi quali Ricerca e Sviluppo”.

Il professor Stefano Campanaro dell'Università di Padova
Il professor Stefano Campanaro dell'Università di Padova

“È importante che i laboratori universitari non siano torri d’avorio ma sappiano confrontarsi con le esigenze del tessuto produttivo locale, andando al di là delle pubblicazioni sulle riviste per puntare a soluzioni brevettabili e a scale-up industriali”.

Dalla capacità di dialogo tra questi mondi dipendono anche le soluzioni ai problemi del nostro tempo: “Partendo da una forte ricerca di base, il nostro team ha adottato da tempo questo approccio, grazie al confronto con realtà internazionali avanzate”.

“È importante che i laboratori universitari non siano torri d’avorio ma sappiano confrontarsi con le esigenze del tessuto produttivo locale, andando al di là delle pubblicazioni scientifiche”

“D’altro canto, vediamo che le imprese sono sempre più consapevoli dell’importanza dell’innovazione per poter impattare meno sull’ambiente e rimanere competitive sul mercato. Sono convinto che attraverso questa partnership sia possibile affrontare meglio le sfide del futuro, a partire proprio dalla crisi climatica”.

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