Il progetto, sostenuto dalla Fondazione e presentato ieri a Padova, punta a migliorare la gestione dei rifiuti organici e ad aumentarne la resa energetica, riducendo gli scarti in discarica
Nei nostri secchi marroni dell’umido, tra bucce di mela e fondi di caffè, finiscono (giustamente) anche bioplastiche come bicchieri, posate e sacchetti, di solito composti da acido polilattico (PLA) e amido termoplastico (TPS). Questi materiali vengono smaltiti insieme alla frazione organica dei rifiuti solidi urbani e successivamente avviati a processi di compostaggio o di digestione anaerobica. In questo secondo caso, alcuni microrganismi “digeriscono” la materia in assenza di ossigeno producendo biogas, che può essere utilizzato come fonte di energia rinnovabile.
Tutto troppo facile? In effetti, un problema c’è: spesso, in questa fase, le bioplastiche si degradano troppo lentamente, creando non poche difficoltà ai digestori. Per questo motivo, gli impianti sono costretti a pretrattare i rifiuti organici.
“Grazie a una soluzione innovativa, verrà accelerata la ‘digestione’ delle bioplastiche, migliorando così la resa di biogas e riducendo i costi operativi”
Il materiale che non passa attraverso le maglie di separazione, chiamato “sopravaglio”, viene inviato in discarica, con costi elevati e, di conseguenza, una minor produzione di energia. Ad oggi, infatti, non esistono soluzioni enzimatiche o microbiologiche abbastanza efficaci per il trattamento di questi materiali nella digestione anaerobica.
Minori costi, più energia rinnovabile
Il progetto InnoDABio (Innovative Solutions for Optimizing the Anaerobic Digestion of Bioplastics in Organic Waste) si inserisce proprio in questo contesto. L’obiettivo è sviluppare una tecnologia innovativa che permetta di convertire più efficacemente in biogas le crescenti quantità di bioplastiche presenti nei nostri rifiuti organici.
L’iniziativa – portata avanti dall’Università di Padova, dalle imprese Etra e BTS Biogas e sostenuta dalla Fondazione – prevede l’analisi quantitativa e qualitativa degli oggetti in bioplastica, la loro separazione e lo sviluppo di soluzioni enzimatiche in grado di depolimerizzarle, facilitandone così la digestione anaerobica.
“Vogliamo rendere più rapida ed efficace la transizione verso nuovi modelli di sviluppo, mettendo a disposizione risorse, creando reti di conoscenza, condividendo competenze”
Questo nuovo approccio, presentato ieri a Padova, combina strategie ingegneristiche e biotecnologiche per accelerare l’idrolisi delle bioplastiche, migliorare la resa di biogas e ridurre significativamente i costi operativi. Una volta individuata la tecnologia più efficiente a livello di laboratorio, sarà sviluppato un prototipo di impianto in continuo. Il processo di conversione del sopravaglio in biogas verrà quindi testato su scala pilota.
Collaborare per innovare
“Questa iniziativa dimostra, ancora una volta, come la collaborazione sia la chiave per rispondere alle sfide di oggi”, sottolinea Filippo Manfredi, direttore generale della Fondazione. “Fondazioni, atenei e imprese sono chiamate a unire le forze e a fare squadra per ideare soluzioni innovative, in grado di costruire un futuro sostenibile”.
“Il nostro ruolo è mettere a disposizione risorse, creare reti di conoscenza e condividere competenze. Vogliamo rendere più rapida ed efficace la transizione verso nuovi modelli di sviluppo. Grazie a una partnership solida e allo sviluppo di tecnologie all’avanguardia, il progetto InnoDABio va esattamente in questa direzione, aprendo la strada a nuove opportunità di crescita a basso impatto ambientale, a vantaggio di tutto il territorio”.