Oltre a essere un potenziale bersaglio terapeutico, la proteina DAB2 nei macrofagi associati al tumore rappresenta un possibile marcatore da utilizzare per definire la prognosi dei pazienti con diversi tipi di neoplasie. Perché si formano le metastasi? Scoprire il meccanismo molecolare alla base della loro formazione potrebbe aprire nuovi scenari terapeutici.
Un passo avanti in questa direzione è stato fatto da un progetto di ricerca che vede Fondazione Cariverona tra i sostenitori e che coinvolge una pluralità di eccellenze, a conferma della necessità di operare in rete tra soggetti operanti negli ambiti in cui Fondazione interviene.
Sono stati infatti pubblicati i risultati di uno studio coordinato dall’ateneo di Verona che aprono nuovi possibili scenari terapeutici per la cura di diverse neoplasie. Le metastasi rappresentano la principale causa di morte dei pazienti affetti da cancro ma, sfortunatamente, il meccanismo molecolare alla base della loro formazione è ancora poco noto. I risultati dello studio multidisciplinare, coordinato dalla sezione di Immunologia dell’ateneo scaligero, guidata da Vincenzo Bronte, e pubblicati sulla rivista “Cancer Discovery”, dimostrano che la presenza della proteina chiamata DAB2 può predire la comparsa di metastasi. Ciò potrebbe aprire nuovi scenari terapeutici per prevenire la formazione delle metastasi.
“Il nostro studio mette ulteriormente in evidenza il ruolo fondamentale del sistema immunitario e delle cellule mieloidi nel processo metastatico ” spiega il professor Bronte. “Abbiamo, infatti, identificato per la prima volta come il ruolo svolto dalla proteina DAB2 nel rimodellamento della matrice extracellulare presente nel tumore sia fondamentale nel processo metastatico. DAB2 diventa, quindi, un potenziale bersaglio su cui investire per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici per prevenire la formazione di metastasi, possibilmente da impiegare in combinazione con l’immunoterapia. Inoltre, l’espressione della proteina DAB2 nei macrofagi associati al tumore, rappresenta un potenziale marcatore da utilizzare per definire la prognosi dei pazienti con diversi tipi di neoplasie”.
Il progetto ha visto la collaborazione dell’Università di Verona con numerosi partner: l’Istituto oncologico veneto IOV-IRCCS di Padova, il dipartimento di Medicina e scienze dell’invecchiamento del Center for Advanced Studies and Technology (Cast) dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, il dipartimento di Medicina, il dipartimento di Fisica e Astronomia “G. Galilei” e il dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, l’Istituto di ricerca pediatrica Città della Speranza di Padova, il Broad Institute of MIT and Harvard, Cambridge, Massachusetts USA, l’Ifom di Milano, l’Istituto per l’Oncologia molecolare del policlinico universitario Agostino Gemelli, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, il dipartimento di Scienze della vita, il Centro per la ricerca sul genoma, dell’Università di Modena e Reggio Emilia e il Max Planck Institute for Biochemistry.
La ricerca è stata sostenuta da Fondazione AIRC per la ricerca sul Cancro, dal Cancer Research Institute, da Fondazione Cariverona con il bando Ricerca Scientifica 2017, dal Qatar National Priority Research Program 2017, dai Fondi istituzionali dell’università cattolica del Sacro Cuore, dall’Euronanomed III, e dall’IOV 5×1000 Intramural Research Grant Project.